La firma sulla cartella era falsa. Contribuente ha la meglio su Equitalia

Sapere che qualcuno riceve e visiona la nostra posta può essere davvero sgradevole

Cartelle_esattoriali

La sensazione che ne deriva, infatti, è quella di esser stati violati, quasi invasi, nel proprio spazio personale, la privacy calpestata senza troppi complimenti, e l’eventualità che dati e informazioni riservate siano diffuse a un certo numero di persone aggrava la comprensibile frustrazione

Sebbene le conseguenze potenzialmente più nefaste siano quelle legate a comunicazioni di tipo sanitario, la situazione si rivela comunque tutt’altro che piacevole anche in caso di debiti.

Che succede, ad esempio, se una persona sconosciuta, magari con la deliberata intenzione di danneggiarci, firma al nostro posto per ritirare una cartella esattoriale? Per evitare di far le spese del raggiro e vedersi recapitare dopo anni un avviso di pagamento aggravato da robusti interessi di mora è necessario essere in grado di dimostrare la propria buona fede. Insomma, bisogna provare che la comunicazione originaria non è mai arrivata a destinazione.

In merito si è recentemente pronunciato il Tribunale di Milano (sentenza n.7761/2017 del 10 luglio 2017) che, tramite il Presidente Dott. Francesco Matteo Ferrari, ha dichiarato false le firme apposte sulle ricevute di ritorno delle cartelle esattoriali destinate all’amministratore di una società del capoluogo lombardo. Contestualmente Equitalia è stata condannata al pagamento delle spese processuali.

 

All’origine della vicenda ci sarebbero due richieste di pagamento emesse dall’Agenzia di Riscossione nel 2011 e 2012 per un ammontare complessivo di 30mila euro. A seguito della richiesta da parte dell’imprenditore di visionare le cartelle esattoriali emergeva che le stesse erano state sottoscritte da una terza persona. Ne è seguita una diffida ad Equitalia corredata da perizia calligrafica; tuttavia, non avendo ottenuto nulla, si è passati alla citazione in giudizio.

Il Tribunale ha così disposto un nuovo accertamento da parte di un consulente grafologo, che ha confermato i sospetti dell’amministratore della società; Equitalia è quindi stata chiamata a corrispondere l’ammontare delle spese legali e processuali e di quelle relative alla prova tecnica.  È stata invece rigettata l’istanza presentata dall’ente riscossore contro Poste Italiane.

La redazione