Come sopravvivere alla revoca del fido da parte della banca?

Per chi fa impresa spesso il rapporto con la banca si trasforma in un matrimonio

Conseguenze-revoca-fidoMaggiori sono le sue “ramificazioni”, peggiori si rivelano, nel tempo, le conseguenze innescate dalla burrascosa conclusione del contratto stipulato. Tuttavia, tale scenario non è ineluttabile, in quanto, come dimostra la vicenda di Michele Nepitali, se vengono accertate anomalie e azioni illecite, si ha il diritto di procedere in giudizio per tutelarsi.

Revoca del fido: i consigli della redazione 

Attenzione all’effetto domino

Se l’istituto di credito aveva concesso un mutuo ipotecario e per una qualche ragione l’azienda entra i crisi, i “frutti avvelenati” del primo intaccano ben presto non solo la sede fisica dell’attività, ma anche il presente e il futuro dei dipendenti e delle loro famiglie.

Tuttavia, ad annientare, innanzitutto psicologicamente, l’imprenditore, non è (sol) tanto il fatto che all’orizzonte si profila il fallimento professionale ed economico, ma piuttosto il gioco al massacro, l’implacabile pressing psicologico che li precedono. Spesso infatti, basta qualche pagamento saltato per ritrovarsi con le spalle al muro. Così, la banca pone un ultimatum: “o rientri della cifra pendente, o ti revochiamo il fido e segnaliamo come cattivo pagatore”.

Leggi anche

Niente pignoramento immobile per chi rinegozia mutuo acquisto

 
Maggiori informazioni https://www.usuraonline.com/notizie/news-/newscbm_65120/3/

 

A volte scegliere è materialmente impossibile

Alla fine del 2012 Michele Nepitali, proprietario della Nepbor di Piombino Dese (Padova), azienda di confezioni per occhiali, si ritrova in un questo vicolo cieco. Qualche mese dopo, poi, tenta il suicidio; ad innescare la miccia della disperazione è l’ennesima cartella Equitalia, dall’ammontare di circa 30mila euro.

La vicinanza di familiari e amici gli salva la vita, ma purtroppo non si riesce a scongiurare il tracollo della Nepbor. Oggi l’imprenditore padovano ha deciso di agire in giudizio contro quella che all’epoca era la sua banca, accusandola di istigazione al suicidio, estorsione e tassi usurai.

Il rimpianto più cocente, per Michele Nepitali, è rappresentato dal fatto che l’istituto di credito gli negò la possibilità di un piano di ristrutturazione finanziaria. Il suo obiettivo, oggi, non è  solo quello di “tamponare” le disastrose conseguenze del fallimento, ma anche vedere pubblicamente riconosciute le responsabilità della controparte.

L’azione legale intrapresa mira infatti non solo a bloccare la vendita all’asta del capannone dell’azienda, ma anche a impedire l’esproprio della casa di proprietà della moglie. Contestualmente, Michele Nepitali si aspetta che il giudice affidi a un consulente il compito di certificare l’illegittimità dei tassi d’interesse applicati.

Ti potrebbe interessare