“Ho vissuto di agi, ma con intelligenza. Eppure sono passato dalle stelle alle stalle”

Ricordate l’aneddoto popolare che contrappone la cicala alla formica?

Tutti lo abbiamo sentito raccontare, almeno una volta nella vita. A illustrare le diverse sorti destinate ai due antitetici animali, quasi certamente, sono stati nonni, vecchie zie o genitori, mossi dal l’encomiabile proposito di spiegarci, quando ancora eravamo piccoli, che uno stile di vita sobrio e oculato ci avrebbe, nel lungo periodo, premiati e ripagati dei sacrifici fatti.

Diciamolo: la filosofia del carpe diem è certamente più allettante, promette abbondante spensieratezza e soddisfazioni, ma, specularmente, difetta in concretezza e garanzie.

 

Scegliere quale approccio abbracciare non è mai facile, e certamente entrambi gli estremi risultano solo parzialmente produttivi. L’ideale sembra essere, come spesso succede, la sapiente combinazione degli elementi, capace di temperare le criticità ed esaltare i punti di forza.

Tuttavia, in un’epoca come quella odierna caratterizzata da una fluidità spinta al parossismo, in tutti i campi, neanche “il giusto mezzo” mette al riparo dai bruschi rovesci di sorte. Insomma, nessuno può ritenersi completamente esente dal rischio di finire come la cicale.

Così Daniel, dopo una vita all’insegna di una professione umanamente e materialmente appagante, ha dovuto fare i conti con gli effetti devastanti prodotti dai febbrili mutamenti del mercato del lavoro. Una sorta di fast food che succhia compulsivamente le energie delle persone, per poi accantonarle a favore di carne fresca