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Interessi illegittimi, pignoramenti ad Antonveneta per 2 milioni e 268 mila euro

Spesso, quando abbiano a che fare con i “poteri forti” siamo vittime del detto “due pesi e due misure”. Ed è proprio questo meccanismo che ha consentito al settore creditizio di crescere e svilupparsi senza un’adeguata regolamentazione giuridica. Quando però la tenacia di privati cittadini e giudici onesti riesce a prevalere, è una vittoria per tutti, come nel caso della società commerciale di Padova che, dopo anni di battaglie legali, ha visto Banca Monte dei Paschi di Siena (già Antonveneta) pignorata per 2 milioni e 268 mila euro.

Il contenzioso ha avuto origine da una serie di irregolarità da parte di questa (illegittima applicazione di interessi passivi superiori al tasso legale, anatocismo, commissioni di massimo scoperto indebite).

Tuttavia, inizialmente l’istituto di credito non ha accettato la sentenza che lo obbligava al pagamento, e anzi l’ha impugnata chiedendone la sospensione, incassando il “no” dei giudici. A quel punto l’avvocato della società Marco Sannevigo ha notificato un atto a Monte dei Paschi e si è presentato con l’ufficiale giudiziario per pignorare l’importo dovuto. E la banca non ha potuto fare altro che consegnare cinque assegni circolari intestati alla Cancelleria delle esecuzioni mobiliari del tribunale di Padova.

Questo il commento del legale a margine: «purtroppo questa vicenda è sintomatica del fatto che le banche quando devono recuperare dai correntisti non perdonano, notificando decreti ingiuntivi, atti di precetto, pignoramenti immobiliari, oltre alla segnalazione del debitore nei sistemi interbancari, mettendo in ginocchio i clienti in difficoltà. Quando, invece, sono loro stesse a dover pagare o meglio, a restituire quanto illegittimamente percepito, oppongono resistenza e fanno di tutto per ritardare la restituzione con ulteriore dilazione dei tempi a danno del creditore».

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Anatocismo, banca risarcisce attività commerciale bellunese

Qualcuno lo chiama anatocismo, altri, più semplicemente, anticamera dell’usura. In parole povere, si tratta della pratica (illegale), adottata da alcuni istituti di credito, attraverso cui vengono maturati ulteriori interessi su interessi già esistenti. Nonostante la Corte di Cassazione si sia espressa più volte in merito, il fenomeno è ancora perseguito in modo frammentario. Eppure, finalmente i cittadini incassano le prime vittorie. Nei giorni scorsi infatti un’attività commerciale bellunese si è vista riconoscere un risarcimento di 170.000 euro dalla banca a cui, per 40 anni, aveva pagato interessi non dovuti.

Ad accorgersi che i conti non quadravano era stato, due anni fa, un nuovo socio, che, per vederci chiaro, aveva controllato tutti i resoconti bancari disponibili. Così, l’uomo aveva ricostruito gli ultimi vent’anni di vita dell’attività e, supportato da addetti ai lavori, aveva riscontrato alcune anomalie nella gestione del fido aperto presso una filiale locale di un istituto di credito nazionale.

L’anatocismo è quindi un fenomeno che si sta diffondendo a macchia d’olio, ma che si può (e si deve) combattere. Non solo per avere giustizia, ma anche per contribuire a creare un orientamento giuridico unitario e coerente in merito. A tal proposito, si è espresso così l’avvocato Fabrizio Righes (foro di Belluno), uno dei principali esperti della provincia in questioni bancarie: «i casi che vediamo continuano ad essere numerosi, e rappresentano circa il 25-30% dell’attività civile del tribunale di Belluno (cioè oltre un centinaio di contenziosi), come degli altri tribunali italiani. L’anatocismo e l’usura continuano ad essere praticati, attraverso vari meccanismi. L’attenzione del cliente dev’essere alta, soprattutto alla stipula del mutuo o del prestito o nella gestione del conto corrente, considerando tutte le variabili: dall’assicurazione alle more. Va detto che, nella maggior parte dei casi, le citazioni in giudizio hanno un esito favorevole e la prescrizione decennale decorre dal momento della chiusura del rapporto, quindi i margini per agire sono sempre abbastanza ampi».

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La mora non contribuisce al calcolo dell’usura oggettiva (?)

Usura oggettiva tassi soglia Usura_Oggettiva

L’usura bancaria è ormai un fenomeno tristemente noto e diffuso, ma quando poi si tratta di definirlo e quantificarlo, diventa una sorta di corpo nebuloso, inafferrabile e sfuggente. 

Una terra di nessuno  difficile da regolamentare, visto che già individuare gli elementi che concorrono a formarlo è (quasi) impossibile. E le sentenze emesse non sempre contribuiscono a far chiarezza, come abbiamo già rilevato.

L’ultimo pronunciamento in tal senso risale a qualche giorno fa, e proviene dal Tribunale di Roma

Questo ha stabilito che gli interessi di mora non incidono sulla valutazione dell’usura oggettiva, sancendo, di fatto,  “l’incumulabilità del tasso corrispettivo e del tasso di mora ai fini del raffronto con la soglia di usura, proprio in ragione della disomogeneità delle due grandezze e della loro profonda diversità di funzione, che non ne consente la mera addizione”.

Insomma, precisa l’avvocato Antonio De Simone (Foro di Napoli), “al di là della sostitutività dei due tassi, portando a termine il ragionamento del Collegio romano, il principio sotteso alla pronuncia potrebbe sintetizzarsi in questi termini: gli interessi di mora, che devono di per sé sottostare al tasso soglia, non vanno computati nella determinazione del TEG”.

Tuttavia, mentre la dottrina tentenna e s’interroga, i cittadini continuano a pagare sulla propria pelle gli effetti della discrezionalità, se non addirittura della confusione, che caratterizza il settore creditizio.

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Da redazione



 
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