Per le persone oneste l’auto è quasi un lusso
Qualcun altro, invece, riesce a gestire anche più veicoli senza alcun problema. O almeno, questo è quello che sembra, considerando che a loro nome risultano intestate diverse decine di mezzi. La verità, però, è che, a utilizzarli, spesso per scopi illeciti, sono poi altri soggetti.
Si può riassumere così il business dei prestanome: finora sono state individuate circa 40mila auto fantasma il cui possesso fa capo (teoricamente) a circa 300 persone fisiche e giuridiche. Le dimensioni del fenomeno sembrerebbero però ben superiori.
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Un meccanismo “ben oliato”
Il prestanome si fa intestare un veicolo tramite passaggio di proprietà dietro modesto compenso, assumendo –sulla carta – le responsabilità connesse alla circolazione. Nella realtà l’uso è a vantaggio di una o più terze persone.
La prima e più immediata conseguenza sono valanghe di sanzioni amministrative destinate a non essere mai saldate. A questo si aggiunge l’evasione dell’assicurazione e di eventuali pedaggi.
Perché la tecnica del prestanome è così “popolare” e gettonata? La ragione è facilmente intuibile: tali macchine vengono ampiamente utilizzate per compiere illeciti penali (furti, rapine ecc ecc), in pratica rappresentano uno strumento di reato.
Contrastare il fenomeno comporta un impegno deciso e costante diretto a “chiudere i rubinetti”: dopo che sono stati individuati i prestanome, quindi, bisogna impedire che vengano intestate loro altre auto. In tal senso alcune procure italiane si stanno già attivando. Gioverebbe però anche un maggiore coordinamento tra istituzioni nazionali e territorio. Migliaia di targhe fantasma, infatti, sono registrate nei database del Ministero dell’Interno, ma gli organi di polizia locale non vi hanno accesso, e quindi è precluso ogni provvedimento concreto.
C’è poi un altro problema: ancora non è diventata operativa la riforma del Codice della Strada del 2010. L’articolo 94 vieta l’intestazione fittizia dei mezzi di trasporto; il primo comma, nella nuova formula, stabilisce che la carta di circolazione e il certificato di proprietà non possano essere emessi in caso di cointestazioni finalizzate ad ostacolare l’accertamento della responsabilità civile. Per i trasgressori sono previste multe comprese tra 500 e 2.000 euro.

E a volte la burocrazia non è molto diversa. Come spiegare altrimenti certe procedure che s’innescano per una sorta di automatismo, anche contro i più comuni principi di buonsenso, e che travolgono tutto e tutti? Un esempio su tutti, l’implacabile efficienza di Crif, la Centrale Rischi della Banca d’Italia, in cui vengono iscritti “d’ufficio” quanti non adempiono i pagamenti dovuti nei tempi previsti. Nessun controllo o distinzione viene fatta per quel che riguarda modalità, tempistiche e cause del debito, a nessuno infatti sembra importare delle conseguenze potenzialmente devastanti che una segnalazione in Crif può avere.
Emblematica, in questo senso, la vicenda di una famiglia di 7 persone della provincia di Napoli, proprietaria della Tammaro Antonio & figli srl, azienda operante da 50 anni nel settore dell’elettronica con 12 dipendenti. Per loro l’incubo comincia domenica 31 luglio 2005, giorno di scadenza del pagamento dovuto a Ifitalia, società del gruppo BNL. La legge stabilisce che «se il termine fissato per l’adempimento delle obbligazioni scade in un giorno festivo, esso viene prorogato fino al primo giorno non festivo successivo». La famiglia quindi prepara il pagamento per lunedì 1 agosto, senza immaginare che la segnalazione in Crif, per una sorta di “effetto valanga” è già andata a sistema, e le banche sono già state allertate. Così, a settembre queste esigono dall’impresa il rientro immediato dei prestiti, e solo due mesi dopo Antonio Tammaro viene informato di essere stato iscritto in Centrale Rischi.
A breve, infatti, l’uso del contante potrebbe costare caro. Letteralmente. Il Decreto Fiscale 2020 introdurrebbe detrazioni al 19% destinate esclusivamente a chi sceglie di pagare tramite bonifico o POS.