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La burocrazia senza scrupoli costringe un contribuente a vendere un rene

La burocrazia impazzisce e la giustizia diventa un boomerang, ritorcendosi contro gli onesti cittadini. Un copione, questo, tristemente noto a molti italiani, ma che non smette di stupire, a causa di mostri e orrori sempre nuovi che riesce a generare. Due sono le vicende di cronaca che si sono imposte all’attenzione generale negli ultimi giorni. Per una buffa ironia della sorte, una ha avuto luogo in Veneto, e l’altra in Sicilia. La prima riguarda la vedova di un morto sul lavoro. Equitalia pretende da lei circa 40.000 euro a titolo di imposta di registro sul risarcimento accordato due anni fa e non ancora liquidato. La seconda ha per protagonista Antonio Parrinello, residente a Marsala, che a breve dovrà lasciare la sua casa in quanto è stata venduta all’asta per 80.000 euro. L’uomo intende ricomprarla e, non avendo la cifra richiesta, ha deciso di vendere un rene.
 
Non bastava la perdita del marito Attilio, morto a causa di un fulmine che l’ha colpito mentre era al lavoro. Così ora la vedova Luisella deve anche fare i conti con le richieste dell’Agenzia di Riscossione. Nel frattempo, il suo risarcimento è ancora “fantasma”, in quanto la ditta, che pure era stata condannata, è a un passo dal fallimento e ha accumulato svariati debiti.
 
«Le banche mi hanno condannato a morte nonostante abbia onorato il mio debito nel lontano 1995, e sono rimasto solo. Posso vivere benissimo senza un rene, ma non senza una casa. La mia non è una provocazione tanto per dire, io sono disposto a dare un mio rene a chi mi aiuterà a salvare la mia abitazione. Sono disperato e sono disposto a tutto». Antonio Parrinello è determinato e combattivo, nonostante tutto. Sarebbe incredibile (e ingiusto) per chiunque, infatti, accettare la perdita dell’immobile frutto di anni di fatiche e sacrifici a causa di una vera e propria svendita (13.000 euro di vendita all’asta a fronte di un valore originario di circa 350.000).
 

 

Eredita tre debiti ma si salva grazie all’autotutela

A volte donazione fa rima con dannazione. A farne le spese, stavolta, è stata una donna di Roseto degli Abruzzi, che mesi fa si è vista richiedere circa 2.000 euro dalla So.Ge.T. (Società di Gestione Entrate e Tributi), tra bolli moto arretrati, Tarsu e irrigazione terreni. Il tutto, senza possedere il veicolo in questione, e neanche una casa con giardino. 
 
L’unica “colpa” della donna era stata aver ricevuto in donazione un immobile, la cui proprietaria non aveva alcun debito. Ad averne, invece, era il marito defunto. Qualificata come erede dall’ente riscossore, la contribuente è stata quindi chiamata in causa direttamente. Ad aiutarla a ottenere la cancellazione dell’importo “dovuto”, l’avvocato Daniele Contrisciani, che si è appellato alla facoltà di autotutela prevista dalla Legge di Stabilità del 2012.
 
«Questa legge permette di inviare un’istanza all’ente riscossore che, se motivata e supportata, gli vieta di procedere ad atti esecutivi e gli impone di sentire gli enti creditori al fine di annullare tutta la procedura e liberare il contribuente da debiti non dovuti e da tanta ansia». Per scongiurare l’incubo in cui la donna rischiava di piombare, è stato necessario documentare l’avvenuta donazione e l’assenza di legami di parentela con il debitore defunto.
 

 

Commissione Tributaria accoglie ricorso del contribuente. Debiti annullati

Spetta a Equitalia dimostrare di aver recapitato la cartella esattoriale. E per farlo è necessario l’originale dell’atto integrale della relazione di notifica. Si è espressa così la Commissione Tributaria Regionale di Salerno, a seguito del ricorso presentato da un cittadino di Cava de’ Tirreni. L’obiettivo di quest’ultimo era cancellare una decina di intimazioni di pagamento. «Non ho ricevuto alcuna comunicazione, e intanto sono trascorsi i termini di prescrizione». Ha spiegato.
 
I giudici di primo grado avevano stabilito che bastavano semplici fotocopie a soddisfare l’obbligo di adempimento, specificando che non era sopraggiunta la prescrizione. La Ctp ha rimesso in discussione il tutto, sottolineando che le suddette copie si riferivano agli estratti di ruolo – e cioè atti interni dell’Agenzia di Riscossione – e non alle cartelle esattoriali.
 
«La dimostrazione della notificazione di un atto può essere data soltanto con il deposito dell’originale dell’atto (la cui copia si assume pervenuta al destinatario) completo della relazione di notificazione. Ove la relazione di notificazione sia separata dall’atto, è necessario fornire la prova del collegamento tra la notificazione e l’atto». Questo il “verdetto” della Commissione.
 
 
 
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