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Truffati dalla banca e costretti al pignoramento dei beni

Truffati dalla banca 

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A volte le situazioni drammatiche hanno una “faccia” nascosta. Un risvolto grottesco non sempre facile da cogliere a un primo sguardo, ma che, inevitabilmente, aumenta rabbia e frustrazione di chi ha subito ingiustizia.

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E’ di questi giorni una notizia per certi versi paradossale: il gruppo Hypo-Alpe-Adria Bank, che teoricamente non esiste dopo aver restituito la licenza bancaria, è riuscito comunque a imporre l’asta dei beni di alcuni clienti. Eppure i malcapitati avevano già denunciato i tassi d'interesse illegittimi applicati.

«Ci hanno pignorato tutti i mobili, compresa la mia auto, e mercoledì sono stati venduti all’asta. La querela con richiesta di sospensione degli atti esecutivi è sul tavolo del pm della Procura di Asti, ma ad oggi la macchina infernale non si ferma. Perchè?». A chiederselo è il consulente aziendale astigiano Elia Menta

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La sua è una vera e propria odissea cominciata ormai più di un anno fa, quando ha notato delle anomalie nei tassi d'interesse di leasing pagati. Così, sette mesi fa decide di sottoporre il caso all’attenzione delle procure di Udine e Asti. Intanto, già in altre parti d’Italia si era messa in moto la macchina della giustizia.

Così Menta ripercorre la sua vicenda, iniziata quattro anni fa: «ho acquistato a Montegrosso per circa 300 mila euro una casa in cui vivo con mia moglie e dove ha sede anche la nostra società di consulenza - racconta Menta. Dopo aver firmato un contratto con questa banca ho pagato regolarmente le rate, di circa 3 mila euro al mese. Dopo poco tempo, ci siamo visti recapitare dalla stessa banca altre fatture da pagare, alcune di mille euro, altre di cinquemila, altre ancora di tremila». 

A seguito delle sue richieste di chiarimento, la risposta era stata: «si tratta dell’indicizzazione». 

E non era la prima volta che Hypo-Alpe-Adria Bank ricorreva a questo meccanismo, redditizio ma discutibile, tanto grazie al quale aveva già incamerato più di 40 miliardi di euro, registrando una crescita annua a due cifre decimali. 

«Adesso che il caso è esploso in tutta la sua “sporcizia”, non capisco perchè non siano stati sospesi gli atti esecutivi a mio carico. È assurdo».  Comprensibile e inevitabile la riflessione conclusiva di Menta

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In Italia accedere al credito è ormai un’impresa

 Accedere al credito è ormai un’impresa Accedere_al_credito_sempre_più_difficile

E’ un dato di fatto: accedere al credito è sempre più difficile, sia per i privati che per le piccole e medie imprese, e ora se n’è accorta anche la Banca Centrale Europea

Un suo studio ha infatti evidenziato che, nel periodo da luglio a settembre, si è verificata una contrazione della domanda di prestiti; il fenomeno però ha interessato solo l’Italia, mentre Francia, Spagna e Germania hanno rilevato addirittura un incremento degli stessi. 

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L’aspetto più preoccupante è dato dal fatto che il contesto geopolitico attuale lancia segnali di natura opposta, basti pensare al calo del credit crunch (stretta del credito) passato dal 3 al 2%

D’altro canto la tendenza generale nell’Unione Europea vede un abbassamento dei requisiti necessari per le concessioni di prestiti

Le aziende si trovano quindi sempre più strette in una morsa, e l’approccio adottato dalle banche non lascia presagire niente di buono

Queste infatti non solo hanno innalzato i tassi, ma, dovendo sostentarsi con capitali assai modesti, continuano a stringere i cordoni della borsa. Ottenere credito è diventata un’impresa, e la diffidenza diventa una sorta di circolo vizioso

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Tuttavia la Banca d’Italia ha reso noti gli standard creditizi utilizzati nel nostro Paese, sottolineando come il quadro sia rimasto inalterato, mentre invece in Spagna, Francia e Germania siano stati fatti dei ritocchi

Da una visione d’insieme del fenomeno, insomma, la sensazione è che, per l’ennesima volta, le autorità tentino di nascondere la testa sotto la sabbia, negando un’evidenza di fatti che rischia di esplodere tra le mani come una bomba.

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Costretta a chiudere azienda simbolo della lotta all'usura

Dove non vince il racket malavitoso a volte, ha la meglio il sistema creditizio Costretto_A_Chiudere_Per_Usura_Bancaria

Attraverso l’usura bancaria. Così, rischia di essere spazzata via la De Masi Costruzioni, azienda calabrese emblema della lotta alla criminalità organizzata, simbolo di legalità e senso civico.

«Dalle notizie di cui siamo venuti a conoscenza in questi giorni è venuta meno la mediazione del Governo tra la De Masi e le banche, tanto da ipotizzarsi drammaticamente l’apertura a fine anno delle procedure di licenziamento dei 40 lavoratori in forza, con conseguenze anche sulle altre aziende». Questo il drammatico allarme lanciato da Pasquale Marino, segretario provinciale Fiom

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Già, perché il risvolto (solo) apparentemente assurdo della vicenda è che l’imprenditore Antonino De Masi è sostenuto proprio da questo sindacato. E la tragedia è doppia, se si pensa che già sette mesi fa si era parlato della vicenda proprio nel corso del congresso Fiom, ma chi doveva prestare ascolto e intervenire si è ben guardato dal farlo.

Nonostante De Masi avesse incassato una “vittoria” con la condanna definitiva di una serie di banche per il reato di usura, infatti non è ancora stato liquidato il cospicuo risarcimento. L’iter impone che la somma venga versata solo al termine del procedimento civile avviato.

Insomma, anche se è ormai chiaro a tutti che l’imprenditore è stato l’ennesima vittima annunciata dell' usura bancaria, rischia di dover mettere in liquidazione un’azienda sana. 

«La De Masi – spiegano i lavoratori - è un modello industriale, un’azienda produttiva, in una regione drammaticamente colpita dalla crisi, che non può e non deve chiudere a causa di una pressione inaccettabile delle banche e dalla oppressione criminale». 

Per tutti questi motivi è chiaramente inconcepibile che una realtà produttiva, capace di stare sul mercato grazie alla competitività garantita dall’uso di tecnologie avanzate, sia preda dell’usura bancaria.

L’unico elemento di speranza è dato dall’approccio con cui Antonino De Masi sta affrontando questi tristi giorni. «Io ho subito l’usura e la Cassazione ha stabilito che la responsabilità è delle banche. È da 11 anni che sto cercando di farmi restituire quanto mi è stato rubato. Più di quello che ho fatto non posso, adesso ho l’obbligo giuridico di chiudere l’azienda il primo gennaio. Licenzierò tutti ma continuerò a battermi contro il mondo bancario. Ci sono tavoli di crisi aperti al Ministero dello Sviluppo economico. È importante avere ben chiaro chi sono i criminali e chi sono le vittime». 

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