Un incubo chiamato anomalie del credito. Una spirale di angoscia che s’innesca in un attimo, e che minaccia di spazzare via tutto. Come fermare questa macchina infernale? La strada da percorrere non è semplice, e gli ostacoli che il sistema crea sono i più svariati. Eppure reagire è possibile … e doveroso. Per noi, per i nostri cari, e per chi verrà dopo. Non sono frasi fatte, ma pezzi di vita vissuta. Quella di Rossella Fidanza, che si è trovata ad affrontare situazioni al limite del paradossale, e da lì è (ri) partita, con un’energia incredibile. Per questo abbiamo chiesto a lei stessa di raccontarcela.
La Sua storia è emblematica sotto molti aspetti, e merita di essere raccontata, affinchè ciascuno sia consapevole e vigile sull’operato delle banche con cui è in contatto. Le va di riassumere brevemente la Sua vicenda per quanti ancora non La conoscono?
«Cercherò di essere più sintetica possibile, anche se l’argomento è talmente vasto e con tali sfaccettature che richiederebbe un tempo notevole per sviscerarlo. Sono stata imprenditrice di successo per circa una ventina d’anni, la mia era un’azienda di stampo famigliare e quindi capitava di occuparsi di tutto, dall’aspetto commerciale fino a quello finanziario, che in realtà è sempre stata la mia occupazione principale. Quando iniziai a rendermi conto che le banche utilizzavano degli accorgimenti che servivano ad ingigantire le competenze addebitate, ancora non si parlava del connubio usura-banche, e non venni mai presa sul serio. Certo, i rapporti bancari erano diversi: non si era ancora passati dall’essere una persona al diventare un semplice numero da spremere il più possibile.
Per farla breve, a fine 2011 la banca principale con la quale lavoravamo, girando davvero numeri di notevole interesse, vide un avvicendarsi di direttore, e lì cominciarono i nostri guai. Richieste di rientro, intimidazioni quotidiane a tutte le ore, segnalazioni in Centrali Rischi. A ruota arrivarono tutte le altre banche: per circa un anno e mezzo mi sono trovata da sola ad affrontare degli squali, poiché i miei soci non avevano capito la gravità della situazione, anzi, cercavano di allontanarsene il più possibile. La spirale è quella: non dormi più, non mangi più, di notte stai in piedi a pensare ad una via d’uscita che non trovi, piangi, tocchi con mano la disperazione più totale, nel vederti togliere con una spietatezza non umana tutto quello che con fatica e dedizione hai costruito. E senza accorgertene, arriva il crollo emotivo, che ti travolge senza darti respiro. E con esso la disperazione più totale, che ti toglie ogni lucidità. Ho tentato il primo suicidio a casa, sola, salvata da un’amica alla quale per errore era arrivato un sms non indirizzato a lei. Dopo di questo, cure psichiatriche, antidepressivi, ma il fondo non è ancora arrivato. Ti devi difendere da chi ti vuole vedere distrutto e non ne capisci il perché, da clienti che ti conoscono da una vita eppure non vogliono capire cosa sta succedendo e si uniscono al coro delle minacce, da te stessa che non riesce più ad andare avanti. Diventi facile vittima di questo proliferare di società che ti promettono di salvare la tua azienda, dove hai messo tutto quello che possedevi, non solo a livello di denaro ma anche di salute, mentre in realtà sono dei truffatori sciacalli che rubano soldi regalandogli la speranza. Invano. Ed all’ultimo illecito subito da una banca, nei loro uffici non ce l’ho più fatta, sono andata in bagno ed ho tentato il secondo suicidio. Corsa in ospedale, con in mente il direttore che si preoccupava di quello che avrebbe potuto succedere se la notizia fosse trapelata, non del fatto che lui e la banca da lui rappresentata sono stati la causa scatenante di quel gesto. Periodo di degenza in reparto psichiatrico. Ed alla fine, arriva anche il fallimento dell’azienda.
Non so bene quando ho toccato il fondo, ma posso dire con certezza che le stesse banche che hanno supportato lo sviluppo dell’azienda, dall’oggi al domani hanno tolto il credito decidendone la fine. Conti alla mano, rubando al patrimonio aziendale circa 800.000 € derivanti da applicazione di tassi di usura penali.
Quando ho cominciato a stare meglio, ho deciso che nessuno doveva vivere quello che ho passato io, e così ho iniziato un’opera di informazione tramite la mia pagina Facebook ed il mio blog, mi sono specializzata nel settore bancario e fiscale ed ho messo a disposizione le mie attitudini per chi ne avesse bisogno. Perché il messaggio sia forte e chiaro: esistono tutti gli strumenti per difendersi e vedere rispettati i propri diritti. Non cedete alla paura, perché fate il loro gioco. Non cedete alla disperazione. Lottate».
La forza e la tenacia che la contraddistinguono dimostrano che reagire alle anomalie del sistema (bancario e non), è possibile, ed è probabilmente l’unico modo per tentare di affrontare la crisi economica. Negli ultimi anni Lei si è documentata, ha approfondito svariati temi finanziari portandoli all’attenzione dell’opinione pubblica grazie al Suo blog. Quali ritiene che siano i tre problemi principali e più urgenti da affrontare, da parte delle istituzioni, e quali le possibili vie da percorrere?
«Ce ne sarebbero decine, ma direi la disoccupazione, la sovranità monetaria, la tutela dei diritti dei cittadini. Per creare posti lavoro e quindi ripartire dal leggendario spirito imprenditoriale italiano, è necessario detassare in modo pesante il costo del lavoro e dare nuovi incentivi all’occupazione, reali, non prese in giro come stanno facendo i fantocci al governo. Le faccio un esempio: una delle tasse più odiose per gli imprenditori è l’IRAP, perché nel calcolo dell’imponibile vengono inseriti il costo del lavoro e gli interessi passivi, considerati quindi come un reddito. Un’assurdità. Non serve ridurla di uno 0,3%, serve rimodulare il suo calcolo a condizioni più eque e sostenibili dalle aziende, così com’è avere un dipendente prevede una marea di costi contributivi, ed in parte quasi totale del suo stipendio viene nuovamente tassato. In questo modo si pensa di incentivare l’occupazione?
Per quanto riguarda la sovranità monetaria, trattasi di un discorso assolutamente fondamentale per uscire dalla spirale del debito pubblico. Il debito pubblico in realtà in Italia non esisterebbe, in quanto siamo uno Stato che incassa più di quanto spende, se non fosse per la capitalizzazione dei suoi interessi passivi, che dallo sciagurato divorzio Banca d’Italia-Tesoro e conseguente ingresso in Comunità Europea, vengono pagati non ai cittadini ma a speculatori finanziari. Mi spiego meglio. Ho portato a termine un paio di mesi fa una ricerca specifica per la Corte dei Conti: se uno Stato ha la possibilità di stampare moneta, ripaga gli interessi passivi poco per volta senza farli gravare sulle tasche dei cittadini, soffocandoli di tasse. E c’è un modo semplicissimo per arrivare, persino in Comunità Europea, a questo, usando il famigerato trattato di Lisbona, ma mi dovrei divulgare troppo. Il concetto è questo: noi dipendiamo in tutto dalla BCE, banca privata con evidenti interessi speculativi. Non possiamo stampare moneta autonomamente. Lo Stato è costretto ad emettere titoli che sono in balia dei mercati finanziari, è sotto scacco. E così gli interessi da ripagare aumentano esponenzialmente il debito pubblico. Quando eravamo sovrani della nostra moneta, quindi non moneta a debito ma a credito, c’era la corsa tra gli italiani ad acquistare bot e cct: il debito era nelle mani dei cittadini, lo Stato non aveva debiti esteri, e lo ripagava stampando moneta e guadagnandoci pure da questo.
La tutela dei diritti dei cittadini è legata indissolubilmente ai due punti precedenti. Stiamo assistendo ad una continua violenza della nostra Costituzione da parte di organi governativi per rispondere ad interessi sovrannazionali. Ebbene, il loro mandato invece dovrebbe portarli a fare l’esatto contrario: tutela del lavoro, del welfare, del diritto allo studio, del diritto alla casa, del diritto alla salute, del diritto di espressione … potrei andare avanti per ore. I cittadini sono visti solo come limoni da spremere, e, anche si viene chiamati complottisti, a chi vuole aprire gli occhi dico, esistono prove inconfutabili di un piano per ridurci di numero. E’ arrivato il momento di guardare in faccia alla realtà, non a quella che ci vogliono far credere come tale. Spegnete la tv ed iniziate ad informarvi in rete, scegliete bene i canali di “controinformazione”, sono tantissimi. Solo così capirete davvero che siamo tutti vittime di un piano finale, e non a caso uso queste due parole. Stanno calpestando i vostri diritti tutti i giorni, portandovi poco per volta ad un discorso di schiavitù: se non ne prendete consapevolezza per voi, fatelo almeno per i vostri figli e le future generazioni, e reagite».
(qui la seconda parte dell’intervista)