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Notizie

Equitalia, tassi d’interesse al 45%

Forte con i deboli, e debole con i forti Equitalia_tassi_interessi_elevati

A volte la legge ha uno strano modo di “funzionare”. Così, il tasso d’interesse per i privati è dell’1%, in quanto, «il contribuente non si deve attendere di più quando presta soldi o li dà in custodia a Stato o privati». 
 
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Cambia la musica, però, se lo Stato deve ricevere dei soldi. A spiegare perché è Franco Bechis su Libero.
 
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Se un contribuente deve pagare 2.100 euro all’Agenzia delle Entrate per irregolarità relative a una dichiarazione dei redditi di qualche anno fa, può concordare un “comodo” pagamento spalmato su 28 rate, calcolate con metodo alla francese, e il cui importo è costante. 
 
Perciò, la quota capitale cresce, e gli interessi decrescono. Una sgradita sorpresa attende però il cittadino che vuole saldare il suo debito con lo Stato. Infatti, facendo due conti, gli toccherà pagare ben 3076,44 euro. Quasi 1.000 in più di quelli iniziali, pari a un aumento del 45,2%
 
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Da redazione


 

Crisi economica: finalmente la parola ai cittadini

Crisi economica Crisi_Economica

Istituti discredito. Il titolo dice già tutto. 

Si tratta di un libro scritto, come si legge in copertina, da Angelo Santoro, Biagio Riccio “e altri 1.000 italiani” che hanno  voluto testimoniare il quotidiano disagio sociale e materiale causato dalla crisi e da un sistema creditizio sempre più complesso e inaccessibile.

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A un passo dal suicidio, scopre di essere vittima di usura bancaria

Appassionate e dolorose le parole che aprono il volume: «dedicato alle migliaia di persone che non ci sono più perché si sono tolte la vita. Donne e uomini che avevano già perduto, per colpa delle banche, quello che nell’atto estremo credevano fosse l’ultimo bene: la dignità! Alle vittime di questa “violenza” insensata va il nostro pensiero riportato nelle lettere che abbiamo pubblicato. 

Sono purtroppo gli individui più granitici che cedono alla sofferenza dei soprusi, delle mortificazioni subite dagli istituti di credito. Loro hanno mal sopportato in vita le “offese” di una bieca avidità dell’attuale incapace sistema creditizio italiano».

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Usura, uno su tre cade nella trappola

Tuttavia, si precisa poco dopo, Istituti discredito «non rappresenta una battaglia contro le banche, ma contro coloro che usano le banche contro gli interessi dei cittadini». Il volume è stato pubblicato da Interessi comuni, associazione impegnata nella tutela dei diritti dei cittadini e su temi quali l’informazione e la sensibilizzazione.

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Da redazione
 


 
 

De Masi, le banche gli devono 250 milioni di euro ma rischia la chiusura

Essere nel giusto non sempre equivale a vedere tutelati i propri diritti. Purtroppo, spesso sono i cittadini onesti a pagare sulla propria pelle. E così l’ingiustizia diventa ordinaria amministrazione. L’ennesimo episodio di legalità negata è la vicenda dell’azienda calabrese De Masi, produttrice di macchine agricole e vittima da anni del “fuoco incrociato” del racket della ‘ndrangheta e dei tassi usurari bancari. In questi giorni gli operai hanno iniziato lo sciopero della fame, per lanciare l’allarme sull’imminente chiusura che l’impresa rischia, quando il 31 dicembre scadrà la cassa integrazione.

«Se chiude De Masi nessuno potrà più parlare di legalità. Nè in Calabria nè in Italia. Ed è tutta colpa delle banche usuraie». Lavoratori e sindacati fanno blocco comune a difesa di Antonino De Masi, il coraggioso imprenditore che ha scelto di non piegarsi né al pizzi né alle banche, pagando a caro prezzo la sua voglia di legalità. «E' una persona perbene, un industriale serio, che non chiede nulla a nessuno e che da lavoro buono in una terra difficile», dicono in coro.

Per Antonino De Masi e i suoi dipendenti l’incubo comincia circa 15 anni fa, quando l’uomo ottiene dei finanziamenti per ampliare la propria attività e avviare nuove assunzioni. L’imprenditore, che ha ottenuto prestiti da Bnl, Unicredit ed MpS, a un certo punto nota delle “anomalie” nei tassi d’interesse che gli vengono applicati, chiede chiarimenti in merito, e per tutta risposta si vede chiudere tutte le linee di credito. Da qui parte una battaglia legale vinta da De Masi; la Cassazione infatti rileva che l’azienda «ha pagato tassi usurai che vanno dal 25 al 45%, per questo va anche risarcita».

Intanto, per anni l’uomo è costretto a lavorare solo per contanti, a causa del “muro” delle banche contro di lui. I clienti anticipano il prezzo pattuito, e con i soldi ricevuti vengono acquistate le materie prime e pagati i dipendenti. «Sono andati avanti vendendo beni di famiglia e grazie agli operai che pazientemente hanno aspettato gli stipendi. Ma ora non è più possibile, o succede qualcosa o, alla scadenza degli ammortizzatori sociali in deroga, siamo costretti a chiudere».

A questo punto, la beffa nella beffa. Il risarcimento che spetta ad Antonino De Masi è stato quantificato in 215 milioni di euro, di cui le banche intendono pagarne solo 3. «Abbiano contratti in sospeso per milioni  -  racconta  -  potrei assumere anche domattina decine di operai e dare lavoro, ma così è impossibile». Il rischio sempre più concreto, quindi, è che un’azienda sana e in forze si ritrovi costretta a subire una sorta di eutanasia.

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