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Hai 50 anni? Sei troppo giovane per smettere di lavorare, e troppo vecchia per ottenere un prestito

La crisi lascia dietro di sé vittime silenziose. Non parliamo solo dei tanti giovani costretti a convivere con l’incertezza di quello che li aspetta dopo anni di lavoro e sacrifici, ma anche (e soprattutto) degli over 50, che per vari motivi sono una delle fasce sociali più vulnerabili. E leggendo la storia di Nunzia è facile capire perché.

«Ho chiesto la cessione del quinto, perché devo far fronte a spese domestiche non più rimandabili. La pratica però è sospesa da prima dell’estate, e non certo perché sono “inaffidabile". Infatti ho un lavoro stabile, le mie buste paga sono in regola, eppure l’assicurazione si è messa di traverso, in quanto è “spaventata” dal fatto che ho 55 anni, e quindi pensa che io sia vicina alla pensione.

Nel frattempo, aspetto anche la conclusione di un processo per usura bancaria in cui io sono parte lesa. Anni fa avevo notato delle anomalie nel tasso d’interesse che mi era stato applicato, e così ho voluto vederci chiaro. Purtroppo però, non sono stata fortunata: due giudici hanno lasciato perché non “se la sentivano” di assumersi la responsabilità di emettere una sentenza. E in questo certamente ha giocato un ruolo il fatto che uno degli istituti portati in giudizio sia difeso dall’avvocato di un noto e discusso uomo politico italiano.

ll terzo giudice, invece, ha chiesto l’intervento del CTU, e questo ha riscontrato un tasso usurario, scaturito dal meccanismo attraverso cui le tre banche (di cui due nazionali) si sono “passate di mano” il credito nei miei confronti. Ora sono in attesa, da tre mesi, della sentenza. E il mio timore è che tutto si concluda con un rinvio a giudizio o con un’archiviazione. Intanto, ho dovuto far fronte alle spese legali, e la mia casa è stata messa all’asta e per recuperarla ho dovuto pagare, in quattro anni, rate di mutuo raddoppiate».

 

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Gli istituti di credito hanno ormai esteso la loro influenza ben oltre i confini della finanza.  Si tratta di una constatazione, e non, come a lungo hanno voluto farci credere, di una sorta di autosuggestione dei timorosi consumatori.

Il rapporto tra cittadini e istituti di credito è assolutamente sbilanciato a favore di questi ultimi, sin dalle fasi iniziali. Basti pensare alla quantità di moduli, proposti unilateralmente dai secondi e zeppi di clausole, obblighi e doveri, che è necessario sottoscrivere. 

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Il più delle volte i malcapitati clienti si accorgono di quanto siano stringenti le condizioni accettate solo nel momento in cui diventano morosi.

D’altra parte, la trattativa tra le parti dovrebbe essere libera, e quindi frutto di negoziazione. Peccato che però, nei fatti, il processo sia bloccato e blindato

Come scrive  Marcello Adriano Mazzola, «esiste un cartello occulto che rende le proposte delle banche assai simili, differenziandosi un poco quanto agli interessi attivi, ma assai meno quanto ai costi dei conti correnti e degli interessi passivi».

Senza contare che la maggior parte degli istituti controllano miliardi di crediti-debiti insolvibili frutto della bolla immobiliare. Eppure, incredibilmente, hanno superato, tranne alcuni, lo stress test della Banca Centrale Europea.

Fortunatamente però, «le condotte illecite e contrattualmente sleali delle banche in questi anni stanno emergendo, grazie a consumatori e avvocati tenaci e combattivi», prosegue Marcello Adriano Mazzola

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«È, dunque, emersa la piaga comune dei contratti (conto corrente, fido, mutuo, etc.) gravati da usura contrattuale (cioè gli interessi usurari) – in quanto la somma degli interessi corrispettivi e di quelli moratori è superiore al tasso soglia calcolato trimestralmente dalla Banca d’Italia – così come certificato da perizie contabili».

Inoltre, nonostante una serie di sentenze abbia sancito che, per calcolare il tasso applicato a mutui e prestiti sia necessario sommare tutte le voci, mora compresa, a un certo punto è emersa «una giurisprudenza contraria, che intende dare una diversa lettura e curiosamente sta trovando il suo apice nelle principali città (Milano, Roma, Napoli, Torino) che ha la maggiore concentrazione di banche. Giurisprudenza che inizia a riattribuire poteri normativi impropri alla Banca d’Italia».

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Da redazione 

 

 


 
 

Gino Votta: né le banche né la malattia mi fermeranno

Ci sono storie che dimostrano che vale la pena lottare, anche quando tutto sembra remare contro. Anche quando non ci si può aggrappare più a nulla, neppure alla salute. Questa è la storia di Gino Votta, un uomo coraggioso che da anni combatte una battaglia tenace e appassionata contro le banche … e la malattia.

Gino Votta è un imprenditore toscano affetto da Sla (“la Stronza”, come la chiama prendendo in prestito la definizione del calciatore Borgonovo) e per questo costretto a veder andare in pezzi la sua azienda, l’ex conceria Nuova T.V., che ha chiuso i battenti nel 2002. Da qui è partito un calvario, a suon di colpo di legali, che lo ha visto contrapposto al Monte dei Paschi di Siena e alla Cassa di Risparmio di Firenze., 

L’uomo ha scelto queste parole, piene di forza e dignità, per rivolgere alle due banche il suo  appello ad essere perlomeno ascoltato. «Sono qui col corpo immobile  ma la mente in continuo movimento. Scrivo la mia storia dopo mesi di riflessione e anni di inutili tentativi per trovare una ragionevole soluzione, sistematicamente ignorato e preso in giro. Ero titolare di una ditta con 15 operai quando la “Stronza” ha iniziato a incalzare. Con più ricoveri in ospedale che presenze sul lavoro, la ditta ha iniziato ad andare sempre peggio, fino alla totale chiusura. Le banche, nel frattempo “pur capendo la difficile situazione personale”, hanno iniziato la loro opera distruttrice con prelievi dai conti personali, compresa la pensione di mia suocera, finché sono arrivati alla totale chiusura di tutti i miei conti».

A quel punto la decisione di Gino Votta di vendere la nuda proprietà della casa. Non l’avesse mai fatto. Gli istituti di credito si sono insospettiti, lo hanno accusato di falsa vendita e intrapreso una revocatoria finalizzata a giungere alla vendita all’asta dell'immobile. La prima sentenza ha dato loro ragione. Intanto, per l’appello bisognerà aspettare quattro anni. Un arco di tempo obiettivamente troppo lungo, date le condizioni in cui l’imprenditore si trova. 

«Quanti sono davvero quattro anni, per me? Con la Sla non si fanno conti elementari, decide lei quando ci sarà l’appello». E anche i suoi tentativi di stabilire un contatto informale con gli istituti di credito per pattuire un risarcimento sono caduti nel vuoto.  «Mps non mi ha ancora degnato di una risposta  né tramite il proprio legale, né rispondendo alle mail inviate sia al funzionario che al direttore generale».

Da qui, l’amara conclusione di Gino Votta. «Non mi trovo a chiedere soldi o compassione, chiedo un incontro e un ravvedimento per la chiusura di questo infinito contenzioso. Sono a confrontarmi con due banche che si fanno forza di una policy “per il sociale”, declamano e (fortunatamente) finanziano opere rivolte alle minoranze e ai disabili, ma rifiutano la mia proposta. Vorrei solo la medesima attenzione e coerenza con la loro linea di condotta. Ormai non ho più voce per lasciare messaggi in segreteria. Ringrazio di cuore chi potrà aiutarmi, chi mi leggerà e mi darà man forte».

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