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Notizie

Fisco: cosa aspettarti se hai un debito superiore (o inferiore) a mille euro

Tanto rumore per nulla

Saldo-stralcio-cartelle-esattorialiPuò riassumersi così l’epilogo della vexata quaestio cartelle esattoriali. Se infatti inizialmente il Governo Meloni aveva esplicitato programmi e propositi articolati e dalla portata significativa, gli aggiornamenti più recenti parlano di misure assai modeste, e limitate a due macro-categorie. Da una parte i debiti entro mille euro relativi a carichi fiscali “nati” entro il 2015, e dall’altra parte pendenze di importo superiore.

La possibilità di ottenere il dimezzamento delle cartelle di importo compreso tra mille e tremila euro, la rateizzazione diluita nel tempo di quelle più salate, e  interessi di mora in generale contenuti, sfuma se si fosse trattato di un miraggio nel deserto.

Chi può usufruire del saldo e stralcio integrale?

Tale percorso esemplificato ed alleggerito è destinato unicamente ai contribuenti destinatari di cartelle esattoriali fino a mille euro emesse non più tardi di sette anni fa.

È invece possibile rottamare debiti di altro ammontare, quelli da 1.500 euro come quelli da 10mila euro, versando la somma iniziale maggiorata “solo” del 5%. Non è indispensabile effettuare il pagamento in un’unica tranche, si può sfruttare la rateizzazione da spalmare su un intervallo temporale di massimo 5 anni. A onor del vero, più che un modo per venire incontro ai contribuenti in difficoltà, si tratta di una sorta di zuccherino.

All’origine di questa brusca inversione di rotta da parte del Governo ci sarebbe non solo il bisogno di evitare l’identificazione con un provvedimento controverso come il condono fiscale, ma anche un problema vecchio come il mondo e probabilmente privo di vere e proprie soluzioni. Vale a dire, che le risorse finanziarie a disposizione sono come una coperta: avvolgere con particolare cura e comodità un versante pregiudica inevitabilmente l’altro.

La redazione 



 


Pignoramento disoccupazione: la decisione del Tribunale di La Spezia

In caso di perdita del lavoro la Naspi rappresenta una vera e proprio ancora di salvezza

Pignoramento-NaspiL’ultima spiaggia, ai fini del sostentamento della famiglia, del pagamento delle utenze. Eppure, non è infrequente che creditori - anche di vecchia data – si materializzino all’indomani della concessione dell’indennità, esigendo il suo pignoramento per recuperare la somma pendente.

Fortunatamente, però, quando la Naspi viene aggredita in misura superiore ai limiti fissati dalla legge, intervengono i tribunali dislocati sul territorio facendo valere i diritti del debitore. L’ultimo esempio, in ordine di tempo, arriva da La Spezia, dove un uomo ha visto riconoscere le proprie ragioni in contrapposizione all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale.

Tentare di ricominciare grazie alla Naspi, se non fosse che il Fisco…

È questa, in breve la storia del cittadino ligure 40enne. La sua volontà di rimettersi in piedi professionalmente, avviando una ditta individuale idraulica grazie all’anticipo della Naspi è stata stroncata da un provvedimento di Agenzia delle Entrate Riscossione. Vale a dire, il pignoramento dell’INTERO assegno e del quinto della liquidazione anticipata, per un totale di 12mila euro.

Ciò ha impedito all’uomo di ottenere il Documento Unico di Regolarità Contributiva, requisito imprescindibile per aprire la partita IVA.

L’inatteso e felice colpo di scena arrivava grazie al difensore del cittadino ligure. Il legale rilevava che l’ammontare della Naspi era inferiore all’importo minimo pignorabile, secondo quanto stabilito dal Decreto Legge Aiuti Bis.

Dal canto suo il Fisco dichiarava che tale soglia minima riguardava solo assegni assimilabili ad indennità previdenziali (es: pensione), mentre invece la Naspi sarebbe ascrivibile alla macro-categoria dello stipendio.

Il Tribunale di La Spezia ha tirato le somme accogliendo le istanze del legale dell’uomo, e quindi annullando il provvedimento di pignoramento.

La redazione 



 


Sai quanto ti costa il conto corrente?

Il comfort si paga

Costo-conto-correnteSoprattutto quando comporta la possibilità di svolgere transazioni economiche in assenza di moneta cartacea, a condizioni agevolate ed usufruendo di procedure esemplificate. Ad accorgersene, mettendo nero su bianco i numeri che definiscono il trend, sono stati gli esperti di Banca d’Italia. Nel 2021, infatti il costo medio di un conto corrente è cresciuto di quasi il 4 percento (3,8%, per l’esattezza) rispetto all’anno precedente, funestato dall’arrivo di una pandemia inizialmente spietata.

Questa percentuale si è tradotta in circa 95 euro in più spesi all’anno, per utilizzare il proprio Iban, e avvalersi delle opzioni correlate. Prima tra tutte, una carta agganciata ai circuiti Mastercard e Visa, che sarebbe tra l’altro il primo fattore ad aver determinato l’incremento del costo del conto corrente.

E le proporzioni tra spese fisse e spese variabili sostenute dal correntista riassumono emblematicamente la situazione. Le prime, infatti, che comprendono gli importi addebitati per il rilascio, la tenuta e la gestione di una carta, assorbono più del 73% di quei 95 euro, a fronte del 27% circa derivante dalle spese variabili. Queste ultime si riferiscono alle operazioni effettuate agli sportelli delle filiali bancarie, che sono comprensibilmente cresciute dopo mesi di stop forzato a causa della pandemia.

È consigliabile, dunque, per chi non ha ancora un conto ma è intenzionato ad attivarlo, optare per una banca online,  così da risparmiare notevolmente, a partire dal canone base.

La redazione 



 


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